Per molte persone, viaggiare in treno è sinonimo di comodità e rapidità. Ma per chi ha una disabilità, viaggiare in treno con disabilità diventa spesso un’odissea fatta di telefonate preventive, attese e imprevisti.
La vera sfida non è lo spostamento in sé, ma tutto ciò che lo precede e lo circonda.
Il servizio di assistenza c’è, sulla carta. Ma nella realtà, viaggiare in treno con disabilità è un percorso pieno di ostacoli, in cui nulla è garantito, nemmeno la salita su un vagone.
Come funziona (in teoria) l’assistenza
Per viaggiare in treno con disabilità, bisogna contattare con almeno 12 ore di anticipo la Sala Blu di RFI. L’utente deve indicare il tipo di assistenza richiesta, le stazioni di partenza e arrivo, e l’orario del treno.
In teoria tutto fila liscio. Nella pratica, i problemi cominciano subito: ritardi nella conferma, operatori non disponibili, attrezzature non funzionanti.
Ogni volta si spera che tutto vada come previsto. Ma viaggiare in treno con disabilità non dovrebbe essere questione di speranza. Dovrebbe essere un diritto certo.
Quando il montascale è guasto
Uno dei problemi più frequenti per chi deve viaggiare in treno con disabilità è il malfunzionamento del montascale. Capita di arrivare in stazione e scoprire, solo in quel momento, che il montascale è rotto.
La conseguenza è semplice: il treno parte senza di te. E con lui se ne vanno anche i tuoi programmi, il tuo tempo e la tua dignità.
Questo non è un evento eccezionale. È una realtà vissuta da molti ogni giorno.
Le stazioni a due velocità
Chi prova a viaggiare in treno con disabilità lo sa: ci sono stazioni di “serie A” e stazioni di “serie B”.
Nelle città più grandi il servizio è spesso presente, ma basta uscire dalle rotte principali per trovarsi davanti a stazioni senza ascensori, senza personale e senza indicazioni.
Ci sono stazioni dove salire o scendere dal treno è possibile solo con l’aiuto di qualcuno, e nemmeno sempre.
L’accessibilità è a macchia di leopardo, ma la mobilità dovrebbe essere un diritto universale.
Il paradosso dell’autonomia
Una delle contraddizioni più grandi è questa: viaggiare in treno con disabilità significa spesso rinunciare alla propria autonomia.
Anche le persone più indipendenti si trovano costrette a dipendere da orari, conferme, margini di tempo imposti.
Non puoi decidere all’ultimo minuto di prendere un treno. Non puoi cambiare programma. Non puoi scegliere coincidenze brevi. Devi adattarti. Sempre.
Eppure l’autonomia dovrebbe essere il primo passo verso l’inclusione.
I treni regionali, il grande problema
Chi è costretto a viaggiare in treno con disabilità sui regionali conosce bene la frustrazione.
Convogli vecchi, vagoni stretti, nessun bagno accessibile. In certi casi manca anche lo spazio per la carrozzina. E le banchine sono troppo basse per salire in sicurezza.
A volte si riesce a salire solo con l’aiuto di altri passeggeri. Ma è davvero questa la normalità che vogliamo continuare a tollerare?
Esperienze che raccontano più di mille statistiche
Chi viaggia in treno con disabilità ha infinite storie da raccontare.
C’è chi ha perso un colloquio di lavoro perché l’assistenza non è arrivata.
Chi è rimasto bloccato per ore in stazione, senza nessuno a cui chiedere aiuto.
Chi ha visto partire il treno sotto i propri occhi mentre aspettava che qualcuno trovasse il sollevatore.
Io stesso ho vissuto situazioni così. Attese, telefonate, imprevisti. Viaggiare in treno con disabilità non dovrebbe mai essere una sfida quotidiana.
C’è anche la legge… ma è inclusione vera?
Secondo il Regolamento (CE) n. 1371/2007, articolo 24, per garantire il servizio di assistenza alle persone con disabilità, ogni cambio treno deve prevedere almeno 30 minuti di margine.
Questa norma è recepita anche dalle linee guida di RFI.
Ma spesso questo margine si trasforma in una barriera.
Perché non si può più prendere una coincidenza veloce. Non si può più scegliere liberamente gli orari.
E la realtà è che i 30 minuti spesso diventano 60, 90, anche 2 ore e mezza di attesa.
Ma secondo voi questa è inclusione vera?
L’inclusione sarà realtà solo quando viaggiare in treno con disabilità significherà poter scegliere il treno che vuoi, all’ora che vuoi, senza dover dipendere ogni volta da procedure complesse o da lunghe attese.
Cosa serve davvero
Per rendere possibile viaggiare in treno con disabilità, davvero, servono:
-
Ascensori e sollevatori funzionanti in tutte le stazioni.
-
Treni nuovi, accessibili, con posti carrozzina e bagni adeguati.
-
Personale disponibile fino all’ultimo treno della giornata.
-
Un’app unica, intuitiva, per gestire l’assistenza in tempo reale.
-
Più formazione e più ascolto da parte di chi gestisce il servizio.
Ma soprattutto serve una cultura dell’inclusione, non solo del supporto.
Chi sta provando a cambiare le cose
Ci sono realtà che si muovono. Alcune associazioni stanno raccogliendo segnalazioni, altre stanno facendo pressing su RFI e Trenitalia.
Anche alcune compagnie ferroviarie private stanno puntando su accessibilità e servizi digitali efficienti.
Ma i passi sono lenti. E chi vuole viaggiare in treno con disabilità oggi, non può aspettare dieci anni per avere un servizio dignitoso.
Questione di diritto, non di eccezione
Viaggiare in treno con disabilità non è un privilegio. È un diritto. E ogni volta che questo diritto viene negato o reso difficile, viene negata anche la cittadinanza attiva della persona.
Non si tratta solo di prendere un treno. Si tratta di esserci, di partecipare, di muoversi liberamente nel proprio Paese.
Sintesi
Viaggiare in treno con disabilità in Italia è ancora un percorso complicato. Norme rigide, stazioni inaccessibili, servizi discontinui rendono ogni spostamento una sfida. Per rendere il treno un mezzo veramente inclusivo, servono soluzioni concrete e immediate, non promesse future.