Nel cuore dello sport paralimpico italiano, c’è una disciplina che, più di altre, rappresenta l’incontro perfetto tra competizione, inclusione e resilienza: il sitting volley, o pallavolo paralimpica. Non si tratta solo di una variante tecnica della pallavolo tradizionale, ma di un potente strumento sociale capace di unire persone con e senza disabilità in un’unica squadra, con un’unica passione, con un’unica rete (bassa, ma carica di significato) da superare.
Le origini e lo sviluppo
Il sitting volley nasce nei Paesi Bassi nel 1956, come fusione tra il Sitzball (una sorta di palla rilanciata da seduti) e la pallavolo tradizionale. Il suo debutto paralimpico arriva nel 1980, rendendolo uno degli sport simbolo del movimento paralimpico.
In Italia, il primo passo concreto avviene nel 2013, quando la Federazione Italiana Pallavolo (FIPAV) inserisce ufficialmente il sitting volley tra le sue attività. Da quel momento, la pallavolo paralimpica inizia a diffondersi, coinvolgendo atleti e atlete da ogni parte del Paese, grazie anche al riconoscimento della FIPAV come Federazione Sportiva Paralimpica.
In cosa consiste il sitting volley?
Le regole sono simili a quelle della pallavolo tradizionale, ma con alcune modifiche importanti che la rendono più accessibile:
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Si gioca seduti sul pavimento: è obbligatorio mantenere il contatto delle natiche con il suolo durante il gioco.
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Il campo è più piccolo, 10×6 metri, con una zona d’attacco ridotta a 2 metri.
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La rete è più bassa: 1,15 metri per gli uomini, 1,05 per le donne.
Ma ciò che rende questo sport davvero unico è il fatto che possono giocare insieme atleti con disabilità e atleti normodotati, nel pieno spirito dell’inclusione. Non serve possedere un “corpo perfetto” per esprimere talento, grinta, spirito di squadra. Serve cuore. E tanto.
Atleti e storie che ispirano
Tra i nomi che stanno scrivendo la storia del sitting volley italiano c’è Sara Cirelli, ex pallavolista, che dopo un incidente in moto ha trovato nel sitting volley non solo uno sport, ma una seconda possibilità. Ha rappresentato l’Italia alle Paralimpiadi di Tokyo 2020 e continua a essere un esempio straordinario di come si possa rinascere nello sport.
Un altro nome importante è Nadia Bala, che nel 2013, in seguito a una diagnosi di malformazione artero-venosa cerebrale, ha lasciato il campo da gioco “in piedi”, per sedersi su quello del sitting volley. Non solo atleta, ma anche promotrice instancabile di questa disciplina, è diventata Ambasciatrice ufficiale del Sitting Volley italiano nel 2017.
Campionati italiani e competizioni internazionali
Il Campionato Italiano di Sitting Volley è nato nel 2017 con solo sei squadre. Da allora, il movimento è cresciuto con costanza e passione. Squadre come il Dream Volley Pisa hanno dominato la scena iniziale, ma sempre più club stanno abbracciando questa disciplina e portando avanti progetti sportivi inclusivi e competitivi.
A livello internazionale, la nazionale femminile italiana è una delle realtà più forti del panorama europeo. Nel 2019, ha conquistato uno storico argento agli Europei, e nel 2023 ha raggiunto la vetta diventando campionessa d’Europa a Caorle.
Dove si gioca?
Sono tante le realtà locali che stanno facendo crescere il sitting volley in Italia. Alcuni esempi:
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ASD Silvia Tremolada, in collaborazione con il Consorzio Vero Volley, organizza corsi per ragazzi e ragazze con disabilità motoria, intellettiva e sensoriale.
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Ad Astra Volley di Sesto San Giovanni lavora per abbattere il muro tra disabilità e sport tradizionale, facendo giocare insieme persone con e senza disabilità.
Sono esperienze concrete, vere, quotidiane. E fanno la differenza.
Sitting volley e scuola: il futuro è già iniziato
Tra gli aspetti più belli della diffusione del sitting volley, c’è la sua entrata nelle scuole. Alcuni progetti pilota, come quello partito nelle Marche, portano questo sport tra i banchi, facendo scoprire ai più giovani la bellezza della diversità e la forza dell’inclusione. Ed è proprio da lì, dai bambini e dai ragazzi, che può nascere una nuova cultura dello sport e della disabilità.
Il valore del sitting volley
Il sitting volley non è solo sport. È crescita personale, è educazione civica, è testimonianza concreta che l’inclusione si costruisce con i fatti, non con le parole. Un campo da gioco, una rete, sei giocatori per lato. Basta questo per sentirsi squadra, per sentirsi capaci, per sentirsi vivi.
Nello spirito del mio blog – che parla di sport, disabilità, inclusione e riscatto – non poteva mancare uno spazio dedicato a questa disciplina. Perché il sitting volley è l’esempio perfetto che lo sport non è mai una questione di gambe, ma sempre di cuore, testa e volontà.
Riflessioni finali
Il sitting volley sta crescendo in Italia, grazie all’impegno di federazioni, atleti, tecnici e volontari. Ma ha bisogno ancora di essere conosciuto, raccontato, sostenuto. Perché ogni persona ha il diritto di sentirsi parte di qualcosa. E il campo da gioco può essere quel luogo magico dove le differenze diventano ricchezza, non ostacoli.
Se vi capita di vedere una partita di sitting volley, fermatevi. Guardatela. Vivetela. E capirete perché, tra tutte le reti che lo sport può offrire, questa è una delle più belle da superare.