Shahana Hajiyeva era una delle protagoniste più celebrate del judo paralimpico. Oro alle Paralimpiadi di Tokyo 2020 nella categoria –48 kg, per atlete con disabilità visiva, rappresentava l’orgoglio dell’Azerbaigian e una storia di successo nel movimento paralimpico. Ma oggi, il suo nome è diventato sinonimo di uno scandalo che mette in crisi la fiducia nel sistema. Nel maggio 2025, durante la classificazione ufficiale per i Campionati Mondiali di Astana, è emerso che Hajiyeva non aveva alcuna disabilità visiva. Risultato: squalifica a vita da ogni competizione paralimpica. Non è solo una caduta personale: è una crepa profonda in tutto il sistema.
Chi è Shahana Hajiyeva
Nata nel 2000 a Sumqayit, Hajiyeva si era avvicinata al judo paralimpico giovanissima, dichiarando di avere una forma di ipovisione. Dopo Tokyo 2020, aveva continuato a vincere: medaglie ai Mondiali, agli Europei, un posto consolidato nell’élite dello sport paralimpico. Poi, il crollo. Ai controlli pre-gara per i Mondiali 2025, i medici hanno rilevato una vista normale. Niente cecità parziale. Niente deficit. Nessun motivo per cui avrebbe dovuto partecipare alle Paralimpiadi.
Le falle nel sistema di classificazione paralimpica
Nel mondo paralimpico, gli atleti vengono suddivisi in categorie basate sul tipo e il livello di disabilità. Questo serve a garantire che la competizione sia equa. Ma è un sistema fragile, che si basa su verifiche sanitarie rigorose. E quando queste mancano o non funzionano, si apre la porta all’abuso. Hajiyeva è stata classificata per anni come atleta ipovedente. Ma in realtà, secondo le prove mediche più recenti, la sua vista è perfetta. Non solo oggi, ma probabilmente anche negli anni passati. E questo fa pensare a una delle più gravi violazioni mai viste nello sport paralimpico.
Colpa individuale o responsabilità collettiva?
Il primo istinto è condannare lei. Ma la vera domanda è un’altra: com’è possibile che un’atleta venga inserita per anni in una categoria che non le compete senza che nessuno se ne accorga? Questa storia mette sotto accusa l’intero meccanismo di classificazione paralimpico. Non basta una visita medica all’inizio della carriera. Servono controlli periodici, trasparenti, indipendenti. Se un’atleta migliora, se la sua disabilità si riduce, deve essere riclassificata. E se bara, deve essere fermata subito.
Un danno irreparabile agli atleti con disabilità reale
Il danno non è solo d’immagine. È concreto. Perché mentre Hajiyeva saliva sul podio, qualcun’altra – cieca davvero – stava tornando a casa con un sogno spezzato. Gli atleti paralimpici affrontano ogni giorno sfide enormi, spesso invisibili. E quando qualcuno ne approfitta, tradisce non solo il regolamento, ma anche il rispetto dovuto agli altri. Chi partecipa a una competizione paralimpica porta con sé un carico di fatica, sacrificio, dignità. E non può vedersi superato da chi non ha titolo per esserci.
Le reazioni delle istituzioni paralimpiche
Il Comitato Paralimpico Internazionale ha reagito con fermezza: squalifica a vita. Anche l’International Blind Sports Federation ha aperto un’indagine interna. Il Comitato Paralimpico dell’Azerbaigian ha provato a minimizzare, parlando di “miglioramento delle condizioni visive”, ma la realtà medica parla chiaro. Intanto, altri paesi – Italia compresa – chiedono una revisione delle classificazioni, non solo nel judo, ma in tutte le discipline paralimpiche.
Confini sfumati e possibili abusi
Non è la prima volta che si solleva il problema. In molti sport paralimpici, come l’atletica o il nuoto, il confine tra una categoria e l’altra è sottile. E ci sono atleti che – per strategia o per spinta di allenatori e dirigenti – cercano di restare in categorie “più leggere” per vincere più facilmente. È un tema delicato, perché spesso si tratta di condizioni cliniche complesse. Ma è proprio per questo che servono più controlli, meno ambiguità e una direzione centrale davvero indipendente.
Una questione anche di fiducia pubblica
Il movimento paralimpico ha guadagnato, negli ultimi anni, una crescente attenzione da parte del pubblico. Le Paralimpiadi di Tokyo 2020 e quelle di Rio 2016 sono state seguite da milioni di persone, con momenti di sport autentico e ispirazione vera. Ma questi valori si difendono solo con regole chiare e controlli severi. Quando si perde la fiducia, anche il messaggio di inclusione e uguaglianza perde forza.
Le proposte per migliorare il sistema paralimpico
Serve un cambio di passo deciso. Alcune soluzioni possibili: verifiche sanitarie ogni due anni per tutti gli atleti paralimpici. Creazione di un ente terzo internazionale per gestire la classificazione. Banca dati condivisa con accesso per tutte le federazioni. Sanzioni anche per i dirigenti che coprono questi abusi. Campagne di formazione etica per tecnici e atleti.
Una medaglia che pesa come una condanna
La medaglia d’oro di Hajiyeva a Tokyo 2020 oggi pesa come un macigno. Perché non è stata vinta in una gara ad armi pari. E questo mette in discussione l’intera edizione, almeno per quella categoria. Molti chiedono che venga revocata. Ma al di là del gesto simbolico, ciò che conta è non permettere che questo si ripeta. Lo sport paralimpico è troppo importante per essere lasciato in balia dell’ambiguità.
Sintesi: proteggere lo spirito paralimpico
Il caso Hajiyeva è uno spartiacque. Da un lato, mostra quanto il sistema possa essere fragile. Dall’altro, offre l’occasione per rimettere ordine. Lo dobbiamo a chi ogni giorno combatte per gareggiare, per migliorare, per vivere dignitosamente lo sport. Lo sport paralimpico deve tornare a essere ciò che è sempre stato: un campo di verità. Senza scorciatoie. Senza inganni. Solo passione, sacrificio e voglia di riscatto.