Sosta selvaggia disabili a Bolzano: la mia lettera aperta per non restare in silenzio

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Sosta selvaggia disabili
Una lettera aperta di Claudio Palmulli contro la sosta selvaggia disabili a Bolzano. Un episodio vissuto in prima persona che denuncia l'indifferenza e chiede azioni concrete per l'inclusione.

Sosta selvaggia disabili: due parole che dovrebbero farci riflettere subito, fin dalle prime righe. Perché ciò che è successo a Bolzano, in zona Oltrisarco, precisamente in Via Claudia Augusta, davanti al mio tabacchino, è uno di quegli episodi che sembrano piccoli, ma in realtà urlano. Urlano forte. Urlano tutto quello che non funziona. Parla di rispetto che manca. Di una città che, nonostante le parole, si ferma davanti a un gesto di ordinaria inciviltà. Episodi di sosta selvaggia disabili continuano a ripetersi in tutta la città.

Una macchina parcheggiata male. Non su un posto qualsiasi, ma proprio nel passaggio che porta verso la chiesa. Un punto cruciale per tante persone fragili: anziani con il girello, persone con disabilità, genitori con i passeggini. Quel tratto, ieri, per oltre cinque minuti è rimasto bloccato. Nessuno passava. Nessuno diceva nulla. E intanto, sotto il sole cocente, chi già ogni giorno affronta una fatica in più si è trovato impotente, fermo, umiliato. Ecco l’effetto diretto della sosta selvaggia disabili.

Un attimo che pesa come un macigno

E per cosa? Per la fretta? Per la comodità? Per l’egoismo di chi ha pensato: “Tanto è un attimo”. Ma quell’attimo, per chi non può scavalcare, per chi non può “fare il giro”, diventa un ostacolo insormontabile. La sosta selvaggia disabili non è solo una mancanza di rispetto: è una violenza. Una violenza che non si vede, ma si sente. Eccome se si sente.

Quando le parole non bastano

Ed è lì che nasce la mia rabbia. Perché ci riempiamo la bocca di parole: inclusione, diritti, uguaglianza. Organizziamo eventi, facciamo manifesti, proclami, campagne. Eppure, alla prima occasione concreta, la società mostra la sua vera faccia. Quella che ti lascia sotto il sole, mentre gli altri fanno finta di non vederti.

E allora lo dico chiaramente: basta.

Una proposta concreta contro la sosta selvaggia disabili

Da troppo tempo parlo, scrivo, denuncio episodi di sosta selvaggia disabili. E da troppo tempo la risposta è il silenzio. Ma io non ci sto più. Serve un cambiamento. Serve un’azione concreta. Perché un’auto parcheggiata male non è un dettaglio: è un messaggio chiaro di esclusione. È dire: “Tu qui non conti”.

Per questo da anni insisto su una proposta semplice, realizzabile, e soprattutto utile: un’applicazione ufficiale, istituzionale, dove ogni cittadino possa segnalare la sosta selvaggia disabili con una foto e i propri dati. Nessuna denuncia anonima. Nessun linciaggio virtuale. Solo responsabilità. Perché una multa non è un castigo. È un richiamo. Serve a dire: “Ci sei anche tu, ma esistono anche gli altri”.

L’inclusione non si spiega, si vive

Solo così potremo iniziare a considerarci davvero parte di una comunità. Solo così potremo dire di essere civili. Solo così potremo smettere di raccontarci favole.

Mi si chiede spesso: Claudio, cos’è per te l’inclusione? E ogni volta fatico a rispondere. Perché l’inclusione, quella vera, non si spiega. Si vive. Si costruisce. Si rispetta. E invece, io ieri ero lì, in carrozzina, sotto il sole, a guardare la mia città bloccata da una macchina in sosta selvaggia disabili. E ho pensato: com’è possibile che nessuno dica niente? Com’è possibile che nessuno si fermi?

L’ipocrisia dei social

E poi vado sui social. E vedo post pieni di cuori, di commenti, di indignazione virtuale. Tutti pronti a scrivere, a partecipare, a condividere articoli sul Disability Pride. Ma poi? Poi niente. Perché l’inclusione, per molti, è solo una parola da usare una volta l’anno. È un hashtag. È una foto profilo. Ma non è un gesto. Non è fermarsi. Non è dire: “Aspetta, qui c’è qualcosa che non va”.

Io la disabilità la vivo. Tutti i giorni. Tutti i mesi. Tutti gli anni. Da quasi 39 anni. E ogni volta che vedo una sosta selvaggia disabili mi sento invisibile. Mi sento escluso. Mi sento tradito da una società che parla, ma non ascolta. Che scrive, ma non agisce. Che guarda, ma non vede. Continuare a tollerare la sosta selvaggia disabili significa alimentare questa esclusione.

Politica e stampa: i grandi assenti

E non è solo la politica il problema. Anche, certo. Perché qui a Bolzano, da dieci anni, abbiamo una politica di sinistra che sull’inclusione ha fatto poco e nulla. Un referente alla disabilità che nei fatti non ha lasciato tracce significative. Tante belle parole, pochi risultati concreti. Ma la colpa non è solo loro.

È anche di chi dovrebbe raccontare queste cose e non lo fa. Dei giornalisti. Perché se i media non parlano della sosta selvaggia disabili, se non raccontano quello che succede ogni giorno nelle nostre strade, allora tutto resta sommerso. E se resta sommerso, non esiste. E se non esiste, nessuno si muove.

La mia voce per chi non può parlare

Io invece mi muovo. Scrivo. Parlo. Denuncio. Propongo. Perché non voglio che nessun altro debba sentirsi come mi sono sentito io ieri: fermo, impotente, invisibile.

E lo voglio dire chiaramente a chi si sente coinvolto solo quando gli conviene. Venite con me. Venite a vedere cosa significa vivere in una città dove la sosta selvaggia disabili è quotidiana. Dove ogni marciapiede è una sfida. Dove ogni uscita è una strategia. Dove ogni errore altrui diventa un problema tuo.

L’inclusione è rispetto, non un favore

Venite con me, e capirete che l’inclusione non è un favore. È un diritto. È una scelta. È rispetto. Ed è anche consapevolezza che la sosta selvaggia disabili è una delle prime forme di esclusione da combattere.

Ed è per questo che oggi lancio un appello:

  • Istituiamo un’app ufficiale per segnalare la sosta selvaggia disabili.
  • Facciamo una campagna seria, continua, senza retorica.
  • Apriamo un ufficio comunale dedicato alla disabilità, con poteri veri.
  • Formiamo ogni operatore pubblico sul tema dell’accessibilità.
  • Chiediamo ai giornalisti di assumersi la responsabilità di raccontare.

Un patto sociale da riscrivere

Perché ogni gesto di sosta selvaggia disabili è una ferita alla democrazia. È una rinuncia alla civiltà. È un tradimento verso chi ha bisogno di uno spazio per vivere con dignità.

Io non ho bisogno di compassione. Non voglio pietà. Voglio rispetto. Voglio una città che non mi ostacola. Voglio un marciapiede libero. Voglio un passaggio aperto. Voglio che chi parcheggia male capisca che non sta solo infrangendo il codice della strada. Sta infrangendo il patto sociale. E la sosta selvaggia disabili, se ignorata, continuerà a farlo ogni giorno.

Sintesi

Oggi non riesco a tacere. Ma domani, forse, qualcuno in più riuscirà ad ascoltare.

E allora sì, qualcosa cambierà.

 

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