Nella vita dell’arcare Matt Stutzman, la parola “impossibile” ha sempre avuto un significato relativo. Nato nel 1982 a Kansas City, negli Stati Uniti, è venuto al mondo senza entrambe le braccia. Per molti, questo avrebbe segnato il confine di ogni ambizione fisica. Per lui, è stato il punto di partenza.
Infanzia e autonomia
Matt cresce in una famiglia adottiva che lo incoraggia a essere autonomo fin da piccolo. I genitori non lo trattano mai da “diverso”. Impara a fare tutto con i piedi: lavarsi, vestirsi, mangiare, scrivere. Nessun aiuto in più, nessun trattamento speciale. Solo l’invito costante a trovare un modo.
L’incontro con l’arco
Il primo vero incontro con lo sport arriva da adolescente. Pratica wrestling a scuola, corre, si tiene in forma. Ma la vera scintilla scatta nel 2009, quando Matt prende in mano — o meglio, tra piede e mento un arco per la prima volta. È amore a prima vista. L’idea che possa diventare un arciere sembra assurda a chi guarda da fuori. Ma lui non ha mai avuto bisogno di mani per prendere la mira.
Un metodo tutto suo
All’inizio si costruisce da solo un supporto rudimentale. Tiene l’arco con il piede sinistro, blocca la freccia con il mento e la tira usando una leva legata alla spalla. Ogni movimento richiede controllo, precisione, pazienza. Si allena da solo, nel cortile di casa. Ore a ripetere gli stessi gesti, a studiare il respiro, a capire la direzione del vento.
L’ingresso nella squadra paralimpica
Nel 2011 entra ufficialmente nella squadra paralimpica statunitense. Il suo talento è esplosivo, ma è la disciplina a fare la differenza. L’anno dopo vola a Londra per le Paralimpiadi del 2012. È la sua prima grande competizione internazionale. Il mondo lo scopre lì: seduto, la freccia tra il mento e il collo, pronto a colpire.
L’argento di Londra
In una finale tiratissima, conquista l’argento. L’immagine sul podio è potente: un arciere senza braccia che ha sfidato il pronostico, il bersaglio, sé stesso. Il video del suo tiro finale fa il giro del mondo. Nessun effetto speciale. Solo tecnica e volontà.
Un arciere, non un’ispirazione
Matt Stutzman diventa un simbolo. Ma non vuole essere trattato da eroe. Dice spesso che l’unica cosa che gli dà fastidio è essere chiamato “ispirazione”. Preferisce “arciere”. Punto. È lì per gareggiare, per migliorare, per vincere. Non per motivare nessuno.
Record e obiettivi
Nel 2015 conquista il record del mondo per il tiro più lungo mai realizzato con l’arco: 310 metri. Un colpo storico. Nessuno, con o senza braccia, aveva mai colpito un bersaglio da quella distanza. Un gesto che cancella ogni distinzione: Stutzman non è più solo un arciere paralimpico. È un arciere e basta.
Vita fuori dalla gara
Padre di tre figli, vive in Iowa. Condivide momenti di allenamento, vita familiare e riflessioni sui social. È seguito, ma mai sopra le righe. Non cerca fama, cerca spazio. Quello spazio che ha conquistato centimetrando ogni freccia, senza mai cedere alla frustrazione.
Arco come strumento, non come eccezione
Ha partecipato a spot, documentari, conferenze. Ma resta coerente. Quando parla in pubblico, non racconta la disabilità. Racconta il tiro. Spiega come si diventa un buon arciere. Di cosa serve per trovare la calma, la mira, il momento giusto.
Una lezione di metodo
Uno dei suoi motti è semplice: “Tutti hanno qualcosa che gli manca. Io lo vedo ogni volta che gareggio.” Non fa distinzioni tra disabilità visibili e invisibili. Tutti hanno un punto debole. Il segreto è allenare quello forte.
Perché parlarne qui
Nel mio blog, la sua storia ha senso. Perché Matt Stutzman non si è definito con ciò che manca, ma con ciò che ha costruito. È diventato un arciere tra i migliori al mondo senza braccia. E ha fatto di ogni freccia una scelta. Non cercava di stupire. Cercava solo di centrare il suo bersaglio.