Ali Jawad nasce il 12 gennaio 1989 in Libano, nel bel mezzo della guerra civile. Quando ha solo sei mesi, la sua famiglia fugge a Londra per cercare sicurezza. Il viaggio non è solo fisico: è un salto nel buio, una scelta di sopravvivenza. I genitori portano con sé un figlio senza gambe, nato con una condizione rara chiamata agenesia congenita degli arti inferiori. Nessuno sapeva cosa sarebbe successo. Ma di certo nessuno immaginava che quel bambino avrebbe sollevato il mondo.
Il primo approccio con lo sport
Ali Jawad cresciuto a Londra, Ali è un bambino vivace, curioso, con una voglia incontenibile di fare, esplorare, provare. Non accetta limiti, ma il coraggio di vivere Si muove usando le braccia come gambe. Si arrampica ovunque, gioca a rugby con i coetanei, si iscrive al judo, cerca costantemente nuove sfide.
Ma è nella sala pesi che tutto cambia. Un giorno scopre il powerlifting paralimpico: uno sport che misura la forza pura, senza sconti. Nessun vantaggio, nessuna interpretazione. Solo te, il bilanciere e la forza che hai dentro. È amore immediato.
L’inizio del sollevamento
Ali Jawad inizia ad allenarsi seriamente nel 2007. Da subito mostra potenziale: tecnica, determinazione e soprattutto una potenza inaspettata per la sua categoria di peso. La disciplina lo affascina perché è chiara, diretta, spietata: o sollevi, o non sollevi. E lui ama questo linguaggio semplice e crudo.
Nel 2009 fa il suo debutto internazionale, diventando il primo atleta britannico di origine libanese a gareggiare nel powerlifting paralimpico. A soli 20 anni, fa già parlare di sé.
Londra 2012: l’occasione mancata
Ali Jawad si qualifica per le Paralimpiadi di Londra 2012. Gareggiare in casa è un sogno che si realizza. Il pubblico lo acclama, la stampa lo racconta come un simbolo di integrazione e forza. Ma in gara qualcosa va storto. Non riesce a centrare la medaglia e chiude fuori dal podio.
È una delusione. Ma anche una spinta. Giura a sé stesso che a Rio 2016 sarà diverso. Inizia un percorso ancora più duro: alimentazione rigorosa, allenamenti massacranti, lavoro mentale. Nulla è lasciato al caso.
La diagnosi che cambia tutto
Nel 2013 Ali Jawad arriva un altro ostacolo. Ali riceve la diagnosi di morbo di Crohn, una malattia autoimmune cronica che colpisce l’apparato digerente. Una condizione debilitante, imprevedibile, che colpisce duramente un atleta che vive sul filo dell’equilibrio fisico.
Per molti sarebbe stato il momento di mollare. Per Ali, è il momento di resistere. Impara a convivere con i sintomi, ad ascoltare il corpo, a dosare le energie. Condivide la sua storia apertamente, diventando anche un simbolo per le persone affette dalla stessa patologia.
Rio 2016: la consacrazione
Alle Paralimpiadi di Rio 2016, Ali Jawad è in forma. Ha lavorato per anni, ha sofferto, ha tenuto duro. E finalmente arriva il risultato: medaglia d’argento nella categoria 59 kg. Il podio è la ricompensa, ma anche un punto fermo: lui appartiene all’élite del powerlifting mondiale.
L’immagine del suo grido sul palco, le vene gonfie, il bilanciere sopra la testa, resta tra le più potenti dei Giochi. È l’urlo di chi non ha concesso nulla alla vita, ma ha chiesto tutto a sé stesso.
Oltre la pedana
Ali Jawad non è solo un atleta. È un attivista, un divulgatore, un uomo che ha scelto di parlare apertamente di disabilità, salute mentale, immigrazione, razzismo. Ha raccontato la propria storia in documentari, interviste e TED Talk, con uno stile schietto, diretto, senza retorica.
Nel 2017 scrive un’autobiografia, Strongman: My Story, dove ripercorre tutta la sua traiettoria, dagli anni in Libano alla conquista della medaglia olimpica. Non nasconde nulla: parla di dolore, frustrazione, rabbia, ma anche di speranza e dignità.
Un atleta scientifico
Ali è anche laureato in Scienze dello Sport e molto attivo nella ricerca sull’allenamento adattato e sull’impatto delle malattie croniche sulla performance. Collabora con medici, preparatori, psicologi. È uno degli atleti più attenti al lato scientifico del proprio sport.
Nel suo profilo social, alterna foto di gara a tabelle di dati, consigli di motivazione e momenti di vita quotidiana. Dimostra che la forza non è solo fisica, ma anche cognitiva e sociale. È un atleta del presente, e forse anche del futuro.
Perché parlarne qui
Nel mio blog, la storia di Ali Jawad ha un valore forte. Perché parla di forza, sì, ma anche di scelta. Non è nato fortunato, non ha avuto una strada spianata. Eppure ha trovato il suo modo di vivere il corpo, il dolore, la disabilità, lo sport.
Ali ha sollevato pesi, ma soprattutto ha sollevato coscienze. Ha dimostrato che la forza vera è quella che resta nei giorni in cui nessuno guarda. Quella che ti fa alzare dal letto anche quando fa male. Quella che ti dice: “Non sarà facile, ma sarà possibile.”