Kurt Fearnley: La strada come scelta

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Kurt Fearnley: La strada come scelta
Kurt Fearnley ha spinto la sua carrozzina su ogni strada, dalle maratone mondiali alla giungla della Kokoda Track. Per lui, muoversi è sempre stata una scelta, non un’eccezione.

Kurt Fearnley nasce nel 1981 a Cowra, una cittadina rurale del New South Wales, in Australia. Ultimo di cinque fratelli, viene al mondo con una malformazione: manca parte della spina dorsale. I medici dicono ai genitori che probabilmente non supererà l’infanzia. Ma Kurt è testardo fin da neonato.

Cresce in un ambiente dove la disabilità non è vista come un freno, ma come una variabile da integrare. Si arrampica, si sposta, partecipa. E fin da subito sviluppa una forma mentale che lo accompagnerà per tutta la vita: “Se non riesco in un modo, ne troverò un altro.”

Lo sport come orizzonte

Alle elementari gioca a rugby con i compagni. Lo sollevano e lo passano come un pallone, ma lui ci ride sopra. Ha voglia di esserci, di competere, di misurarsi. E quando scopre l’atletica paralimpica, tutto prende una direzione. La carrozzina non è più un simbolo di limite, ma uno strumento di potenza.

A 14 anni inizia ad allenarsi seriamente. La corsa in carrozzina lo cattura per la sua brutalità: spinta, resistenza, controllo. Nessuna scorciatoia. Se vuoi arrivare, devi spingere. Chilometro dopo chilometro.

Kurt Fearnley e la maratona: una storia d’amore e asfalto

Negli anni, Kurt Fearnley diventa uno dei più forti maratoneti in carrozzina del mondo. Vince maratone internazionali a New York, Londra, Chicago, Seoul, sempre contro avversari agguerriti. La sua forza non è solo fisica. È mentale. La gestione della gara, la conoscenza del proprio corpo, l’intelligenza tattica fanno la differenza.

Nel 2004 partecipa alle sue prime Paralimpiadi ad Atene. Torna a casa con oro nei 5000 metri e argento in maratona. Nel 2008, a Pechino, arriva l’apice: oro nei 5000 e nella maratona, oltre al bronzo nei 1500 metri. Le immagini del suo arrivo sotto il sole cinese, stremato ma fiero, fanno il giro del mondo.

La maratona diventa il suo simbolo. 42 chilometri spinti a forza di braccia, spesso su strade dure, in salita, sotto il sole o la pioggia. Per lui, ogni gara è un racconto. Una lotta contro il tempo, contro il dolore, contro l’idea che qualcuno debba mai sentirsi “fuori” solo perché ha un corpo diverso.

Il gesto che fa storia: Kurt e la Kokoda Track

Nel 2009, Kurt Fearnley compie un’impresa che va oltre lo sport. Percorre la Kokoda Track, uno dei sentieri più impervi e simbolici della storia australiana, lungo oltre 90 chilometri nella giungla della Papua Nuova Guinea. Un tributo ai soldati australiani della Seconda Guerra Mondiale.

Lo fa senza carrozzina, trascinandosi con le braccia su un sentiero scivoloso, fangoso, pieno di ostacoli naturali. Ci impiega 10 giorni. Non lo fa per spettacolo. Lo fa per rispetto. Perché quella fatica è anche sua. È la sua forma di presenza. E alla fine, quel gesto silenzioso parla più di mille discorsi.

Un leader fuori dalle gare

Kurt Fearnley non è solo un atleta. È un punto di riferimento per tutta la comunità paralimpica australiana. Parla spesso di inclusione, accessibilità, rappresentanza. Partecipa a progetti educativi, è autore di un’autobiografia intensa (Pushing the Limits), è stato conduttore televisivo e anche relatore alle Nazioni Unite.

Nel 2018, durante i Giochi del Commonwealth a Gold Coast, è lui il portabandiera della delegazione australiana. Vince la maratona con una spinta finale impressionante e si ritira ufficialmente dalle competizioni su pista. Il suo addio non è un saluto, ma una transizione. Continua a gareggiare per qualche anno ancora su strada, ma soprattutto si dedica ad altro: difendere il diritto di ognuno a raccontarsi.

Un approccio umano, mai vittimismi

Ciò che colpisce di Kurt Fearnley è il tono. Non si è mai posto come “eroe”. Ha parlato apertamente delle sue fragilità, delle crisi durante le gare, della rabbia in certi momenti. Ma ha sempre rifiutato il pietismo. Non vuole essere un esempio “nonostante” la disabilità. Vuole essere un esempio “con” la disabilità.

È riuscito a entrare nel cuore degli australiani non solo per le medaglie, ma per il modo con cui ha scelto di vivere. Diretto, onesto, accessibile. Ha difeso le cause dei rifugiati, ha parlato di sport nelle carceri, ha promosso l’educazione come base del cambiamento.

Perché parlarne qui

Nel mio blog, la storia di Kurt Fearnley è una di quelle che si scrive da sola, ma si capisce solo spingendo davvero. Come faccio io. Con la stessa carrozzina che, per altri, è un limite. Per lui e per me, è un mezzo.

Kurt non ha vinto solo perché era il più forte. Ha vinto perché ha saputo scegliere la strada. Ogni volta. Anche quando era in salita, bagnata, solitaria. L’ha scelta, l’ha percorsa, e alla fine ci ha lasciato sopra un pezzo di verità.

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