Erik Weihenmayer: La vetta è solo l’inizio

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Erik Weihenmayer: La vetta è solo l’inizio
Erik Weihenmayer è il primo cieco ad aver scalato l’Everest. Alpinista, autore e guida, ha trasformato il buio in orizzonte e la montagna in linguaggio.

Erik Weihenmayer nasce nel 1968 negli Stati Uniti. A 13 anni perde completamente la vista a causa di una malattia degenerativa della retina, la retinoschisi giovanile. Per un ragazzo attivo, curioso, amante dello sport, la cecità è un colpo durissimo. Ma Erik non si arrende. Anzi, la sua vita comincia davvero da lì.

Fin dai primi anni, rifiuta l’idea di “fare meno”. Impara a usare il bastone bianco, legge in Braille, si orienta negli spazi grazie all’udito. Ma soprattutto, rifiuta la passività. Vuole continuare a vivere all’aperto, a muoversi, a esplorare. È cieco, sì, ma sente di poter fare molto più di quanto gli altri si aspettano da lui.

I primi passi nel mondo verticale

Erik Weihenmayer, durante l’adolescenza si avvicina all’arrampicata. Un amico lo porta in palestra, gli descrive le prese, i movimenti. Erik si innamora subito della parete. Lì non conta vedere. Conta toccare, ascoltare, percepire. Inizia ad allenarsi, a esplorare falesie, a scalare con attenzione e sensibilità.

Negli anni ’90 affronta alcune delle salite più impegnative degli Stati Uniti. Ma non gli basta. La montagna non è solo una sfida sportiva, è anche una metafora. La sua disabilità non è un ostacolo da superare. È un elemento con cui convivere. E in montagna, imparare a convivere con il pericolo è la base.

Erik Weihenmayer e l’Everest: una prima mondiale

Erik Weihenmayer, nel 2001  scrive una pagina di storia. Diventa il primo uomo cieco a raggiungere la vetta dell’Everest. È il 25 maggio. Il tempo è buono, la squadra è affiatata, e dopo giorni durissimi di scalata, Erik arriva a 8.848 metri sopra il livello del mare.

L’impresa fa il giro del mondo. I media lo celebrano come “l’uomo che ha toccato il cielo senza vederlo”. Ma Erik, come sempre, ridimensiona il gesto. Dice che non si tratta di eroismo, ma di preparazione. Che l’Everest è stato solo il risultato di anni di fatica, squadra, ascolto.

La sua scalata dimostra che i limiti non sono solo fisici, ma mentali e culturali. Nessuno, prima di lui, aveva anche solo immaginato che una persona cieca potesse affrontare una delle montagne più pericolose del mondo. Erik non solo l’ha fatto, ma lo ha fatto con lucidità, rispetto e competenza.

Oltre le vette: i Seven Summits

Dopo l’Everest, Erik Weihenmayer non si ferma. Decide di affrontare tutte le sette cime più alte di ogni continente: i Seven Summits. Kilimanjaro in Africa, Aconcagua in Sud America, Denali in Alaska, Elbrus in Russia, Vinson in Antartide, Piramide Carstensz in Oceania. Tutte completate entro il 2008.

È il primo atleta cieco a compiere questa impresa. Ma anche in questo caso, Erik non cerca medaglie. Cerca orizzonti. Ogni salita è per lui un modo di ascoltare il mondo, di adattarsi, di costruire legami umani. Non scala mai da solo. Sempre in cordata, sempre in ascolto. Le parole, i rumori, i respiri sono i suoi “occhi”.

Alpinista, ma anche scrittore e relatore

Oltre a essere un alpinista, Erik Weihenmayer è anche un comunicatore brillante. Ha scritto diversi libri, tra cui Touch the Top of the World, in cui racconta la sua esperienza personale e l’ascesa all’Everest. Il libro è stato tradotto in più lingue e ha ispirato un film.

Tiene conferenze in tutto il mondo, parlando di leadership, resilienza, squadra. Non fa mai discorsi motivazionali nel senso classico. Racconta solo il percorso. La fatica, i dubbi, le cadute. Ma anche la bellezza della scoperta, la forza dell’ascolto, il valore dell’imperfezione.

No Barriers: un movimento, non un motto

Erik Weihenmayer, nel 2005 fonda il movimento No Barriers. Non è una semplice associazione, ma una comunità di persone con e senza disabilità che cercano di superare le barriere quotidiane, fisiche e interiori. Vengono organizzati eventi outdoor, percorsi di formazione, spedizioni inclusive.

Per Erik, la disabilità non è un blocco. È solo una forma diversa di esistenza. Attraverso No Barriers ha accompagnato centinaia di persone cieche, amputate, neurodivergenti, in esperienze di montagna, kayak, trekking. L’obiettivo è sempre lo stesso: non dimostrare nulla, ma vivere pienamente.

Kayak sulle rapide del Grand Canyon

Erik Weihenmayer nel 2014   affronta un’altra impresa unica: discende in kayak le rapide del Grand Canyon. Un tratto di oltre 400 chilometri lungo il fiume Colorado, tra correnti impetuose e rocce nascoste. Nessun cieco lo aveva mai fatto prima.

Con una guida vocale via radio e una preparazione meticolosa, Erik affronta rapide di livello 5. Ogni movimento è calibrato, ogni decisione è immediata. Ancora una volta, dimostra che l’adattamento non è un piano B, ma una strategia di eccellenza.

Un approccio diverso al rischio

Erik Weihenmayer non cerca il pericolo fine a sé stesso. Ogni sua impresa è pianificata, analizzata, condivisa. Il rischio esiste, ma viene affrontato con razionalità. Dice spesso che “l’esplorazione cieca non è follia. È disciplina estrema.”

Il suo approccio è una lezione per tutti: affrontare l’ignoto non significa buttarsi, ma imparare ad ascoltare, ad affidarsi, a conoscere sé stessi. E in questo senso, la cecità diventa quasi un vantaggio: lo costringe a essere presente, preciso, centrato.

Perché parlarne qui

Nel mio blog,  la storia di Erik Weihenmayer ha un valore speciale. Perché lui, come me ha trasformato una condizione percepita come “mancanza” in una forza narrativa e pratica. Ha scalato, remato, vissuto senza vedere, ma con una visione chiara.

Erik non ha mai cercato di “superare” la cecità. Ha solo costruito la propria traiettoria, giorno dopo giorno, ascoltando il mondo e rispondendo a modo suo. La vetta, dice, è solo l’inizio. Perché la vera sfida non è arrivarci. È scegliere, ogni giorno, di salirci.

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