Nick Vujicic è uno di quei nomi che si incide nella memoria. Non per una medaglia, un record o un’opera d’arte, ma per la forza con cui riesce a mettersi in piedi. Letteralmente. Nato senza braccia né gambe, ha trasformato la sua condizione in un messaggio. Non motivazionale. Umano.
È un uomo che ha scelto di non aspettare che il mondo cambiasse, ma di cambiare il modo in cui si guarda il mondo. E se oggi Nick Vujicic parla davanti a migliaia di persone in tutto il mondo, è perché sa bene cosa significa sentirsi sbagliato, inutile, solo. E sa che non lo si è mai davvero.
Una nascita diversa
Nick Vujicic nasce nel 1982 a Melbourne, Australia, con una rara malattia genetica chiamata tetramelia: totale assenza di arti. Nessun braccio, nessuna gamba, solo un piccolo piede con due dita che diventerà il suo strumento di libertà. I medici non danno molte speranze. I genitori sono sotto shock. Ma scelgono di non abbandonarlo. Lo crescono come un bambino “normale”, per quanto possibile.
L’infanzia, però, non è facile. A scuola è vittima di bullismo. Viene escluso, preso in giro, guardato con pietà o fastidio. Ogni giorno è una prova. Si sente inutile. Vuole solo sparire.
A 10 anni tenta il suicidio, cercando di annegarsi nella vasca da bagno. Ma poi cambia idea. E in quel momento, senza sapere bene come, inizia un’altra storia.
Il momento della svolta
Nick Vujicic capisce che non può cambiare il suo corpo, ma può cambiare il suo atteggiamento. Decide di concentrarsi su ciò che ha, non su ciò che manca. Impara a usare il piede per scrivere, digitare al computer, afferrare oggetti, pettinarsi. Trova un modo per fare tutto: vestirsi, bere, cucinare, persino nuotare.
Ma soprattutto capisce che il vero peso non è la disabilità fisica, è quella emotiva. È la vergogna, l’auto-disprezzo, la solitudine. E inizia a parlarne. Prima con i suoi compagni. Poi con la scuola. Poi con intere comunità.
Da studente a oratore
A 19 anni inizia a raccontare la sua storia nelle scuole. Le sue parole colpiscono. Non c’è filtro, non c’è show. Solo verità. Racconta delle lacrime, delle paure, ma anche delle risate e dei sogni. Racconta che ha odiato il suo corpo, e poi ha imparato ad accettarlo. Non con leggerezza, ma con consapevolezza.
Nel 2005 Nick Vujicic fonda “Life Without Limbs”, un’organizzazione no profit per portare il suo messaggio ovunque. Comincia a viaggiare: Stati Uniti, Sud America, Europa, Asia. Parla a studenti, genitori, detenuti, manager, persone con disabilità. Nessuna formula magica. Solo l’esperienza di chi ce l’ha fatta, a modo suo.
L’uomo oltre il palco
Nick Vujicic è diventato un oratore richiesto, ma ha sempre tenuto i piedi per terra (nel suo caso, meglio dire “il piede”). Ha una famiglia, è sposato con Kanae Miyahara, hanno quattro figli. Vive tra la gente, lavora, si mette in gioco.
Ha scritto libri (“Un’anima coraggiosa”, “Ama la tua vita”), ha partecipato a documentari, ha affrontato anche critiche e momenti difficili. Non si è mai fatto passare per “supereroe”. Ha sempre detto che la vita è complicata per tutti, solo in modo diverso.
Spiega che non serve avere una disabilità visibile per sentirsi bloccati. Le barriere peggiori, spesso, sono dentro.
Disabilità e visibilità
Nick Vujicic è stato anche criticato. C’è chi lo accusa di fare spettacolo, di usare la disabilità per attirare attenzione. Ma chi lo ascolta con attenzione capisce subito che non è così. Non cerca commiserazione, né applausi facili. Cerca connessione. Cerca di rompere un muro di silenzio.
Il suo modo di affrontare la disabilità è diretto: non la nega, non la nasconde, ma non la mette nemmeno al centro. Dice: “La mia identità non è nei miei arti. È in quello che faccio con quello che ho.”
E con quel piede, piccolo ma potente, ha scritto, viaggiato, giocato a calcio, fatto surf, abbracciato centinaia di persone. Un simbolo concreto di ciò che significa vivere a pieno, anche quando tutto sembra dire il contrario.
Non solo ispirazione
Il rischio, quando si raccontano queste storie, è quello di scivolare nell’effetto “wow”: guardare con ammirazione e passare oltre. Ma Nick Vujicic insiste su un punto: non vuole essere guardato, vuole essere ascoltato.
Dice che non tutti devono parlare a una folla. Ma tutti hanno un messaggio. Anche chi non può parlare. Anche chi è stanco, chi si sente inutile, chi pensa di non servire a niente. A loro dice: “ci sei. E basti così.”
Il suo messaggio è forte soprattutto per chi si sente invisibile. Perché lui sa bene cosa significa. E ha trovato un modo per rispondere.
Perché parlarne qui?
Perché Nick Vujicic è l’esempio vivente che la disabilità non è il contrario di possibilità. È solo un’altra forma. Di presenza, di relazione, di parola.
Come il sottoscritto, corro con quello che ho. Non per dimostrare qualcosa, ma per dire: “ci sono anche io, in questa vita”.
Nick non ha mai camminato. Ma ha fatto camminare idee, persone, coscienze. E in un mondo che si affanna a cercare il “perfetto”, lui ci ricorda che la bellezza sta anche in ciò che manca. O meglio, in come scegli di viverlo.