Marla Runyan: Correre oltre lo sguardo

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Marla Runyan: Correre oltre lo sguardo
Marla Runyan è la prima atleta cieca a gareggiare alle Olimpiadi. Ha corso contro avversarie che potevano vedere, dimostrando che la vera direzione si trova con la testa, non con gli occhi.

Marla Runyan In uno sport dove la precisione visiva sembra fondamentale, Marla Runyan ha dimostrato che si può correre veloci anche senza vedere. È stata la prima atleta cieca a qualificarsi per i Giochi Olimpici. Ma la sua storia è fatta di molto di più: di resistenza, di fiducia, di una forza mentale rara.

Ha gareggiato in pista, su strada, nel triathlon. Ha sfidato lo sguardo degli altri e quello che lei stessa non poteva avere. Ha fatto della corsa non solo un gesto atletico, ma un’affermazione chiara: il limite non è negli occhi. È negli occhi di chi guarda.

Una diagnosi che cambia tutto

Marla Runyan nasce nel 1969 a Santa Maria, California. È una bambina solare, attiva, curiosa. Ma a nove anni le viene diagnosticata la malattia di Stargardt, una forma degenerativa che provoca una progressiva perdita della vista centrale. Non diventa cieca all’improvviso, ma inizia lentamente a perdere definizione, profondità, dettagli.

Per chiunque sarebbe stato uno choc. Per lei, è stata una spinta. Non ha mai voluto definirsi in base alla sua condizione. Ha continuato a studiare, a sognare, a giocare. E soprattutto a correre.

L’incontro con l’atletica

Marla Runyan a  scuola, si appassiona all’atletica leggera. Scopre di avere una resistenza naturale, una corsa fluida, una grande capacità di concentrazione. Non riesce a vedere bene la pista, né gli avversari. Ma sente ogni metro, ogni vibrazione del terreno, ogni curva.

Corre a memoria. Si affida all’istinto, alla sensazione del corpo. Vince gare studentesche, si distingue nel mezzofondo. I coach notano che ha qualcosa di raro: non solo talento, ma una determinazione incrollabile.

Le Paralimpiadi come primo passo

Marla Runyan nel 1992, Marla partecipa alle Paralimpiadi di Barcellona, vincendo quattro ori nelle categorie per atleti con disabilità visiva. È il suo debutto internazionale. Ma non le basta.

Vuole di più. Vuole gareggiare con tutte e tutti. Non solo nel “suo” mondo, ma in quello in cui le persone non la considerano possibile. Decide allora di puntare alle Olimpiadi. Quelle “regolari”. Nessuna scorciatoia. Nessuna etichetta.

La sfida impossibile

Marla Runyan per  anni si allena in silenzio, lavora su ogni dettaglio. Diventa una specialista del mezzofondo: 1500 metri, 3000, 5000. Nel 2000, a Sydney, ottiene la qualificazione per i Giochi Olimpici con il tempo di 4’06”44 nei 1500 metri.
È la prima atleta cieca a riuscirci.

La notizia fa il giro del mondo. Marla diventa un simbolo. Ma lei non cerca attenzione. Cerca solo di dare il massimo.

A Sydney, chiude l’Olimpiade al settimo posto in finale, con una prestazione straordinaria. Non vince una medaglia, ma conquista qualcosa di più grande: il rispetto di tutto il mondo sportivo.

Una carriera lunga e costante

Marla Runyan dopo Sydney, continua a gareggiare a livello internazionale. Partecipa anche alle Olimpiadi di Atene 2004. Si specializza nella corsa su strada, gareggia in mezza maratona e maratona, stabilisce il record americano paralimpico sulla distanza dei 5000 metri.

Nel 2002, vince la New York Mini 10K, una delle più prestigiose corse femminili su strada negli Stati Uniti. Continua a essere competitiva anche contro atlete più giovani, grazie alla sua strategia, alla preparazione mentale, al modo in cui legge ogni corsa senza bisogno degli occhi.

Non solo sport

Marla Runyan  non è solo un’atleta. È anche una persona impegnata nel sociale, nella divulgazione, nella scrittura. Si laurea in Educazione Speciale e Linguistica e ottiene un master in educazione per non vedenti.

Nel 2001 pubblica la sua autobiografia, No Finish Line: My Life As I See It. Un libro diretto, sincero, in cui racconta la sua storia, senza enfasi, ma con grande chiarezza.
Il messaggio è semplice: i limiti veri sono quelli che ci imponiamo da soli. Il corpo può cambiare, ma non il diritto di provarci.

Una vita piena

Oggi Marla è anche madre, consulente educativa e continua a essere un punto di riferimento per giovani con disabilità visiva. Ha lavorato con il Comitato Olimpico USA e con associazioni sportive per l’inclusione. Parla spesso nelle scuole, aiuta a costruire un’idea diversa di abilità.

Non ha mai cercato di nascondere la sua condizione. Né di usarla come “biglietto” per entrare. Ha solo chiesto di essere messa alla prova come tutti. E ci è riuscita. Con coerenza, con umiltà, con forza.

Un altro modo di vedere

Marla Runyan non ha mai voluto essere chiamata “miracolo”. Ha voluto essere chiamata atleta. Ha mostrato che la vista non è l’unico senso utile per correre. Che ci si può orientare con il corpo, con l’esperienza, con la fiducia.

Ha corso su piste che non riusciva a distinguere. Ha superato ostacoli invisibili, ma molto reali. E non lo ha fatto per dimostrare qualcosa agli altri. Lo ha fatto per sé.

Perché parlarne qui?

Perché Marla rappresenta perfettamente quello che racconti nel tuo blog, Claudio: la possibilità concreta di esserci, anche quando il mondo sembra escluderti in partenza. Ha fatto del suo corpo quello che poteva, senza cercare il confronto con chi ne aveva uno diverso.

Come me, ha preso parte a gare che non erano fatte per lei. E non ha chiesto di cambiarle. Le ha affrontate così com’erano.
E ci ha messo dentro tutto: respiro, passi, cuore.


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