La forza delle mani è potente. Il 24 marzo 2025 entro in quella sala bianca con il cuore che batte forte, un ritmo incalzante che rimbomba nel silenzio ovattato dell’ospedale. La luce accecante delle lampade al neon si riflette sul pavimento liscio, sterile, e sembra quasi scivolare via come i pensieri che cerco di allontanare dalla mente. Cammino, o meglio, avanzo con determinazione, cercando di nascondere l’ansia dietro uno sguardo fermo. Devo essere forte. Devo esserlo per me stesso.
Dietro la porta di quell’ambulatorio, mi aspetta Caterina. Il suo sorriso gentile è lo stesso di sempre, una piccola certezza nel mare agitato delle mie paure. Indossa il camice verde e sembra quasi che il suo abbraccio sia capace di infondere un po’ di serenità.
“Come mai sei di nuovo qui, Claudio?” chiede, con un tono che mescola preoccupazione e affetto.
Prendo un respiro profondo, le parole escono più pesanti di quanto vorrei. “Perché la mano destra… non si apre più.” La mia voce trema appena, ma riesco a mantenere la calma. “E il dito medio… la mattina devo tirarlo con l’altra mano per farlo aprire.” Sento il brivido del dolore attraversarmi come una scossa, solo a pensarci.
Lei mi osserva in silenzio, scrutando il mio viso come se volesse leggere oltre ciò che sto dicendo. “Da quanto tempo succede?” domanda con dolcezza.
“Da un po’…” ammetto a fatica. “E ogni volta è più difficile. Fa male, Caterina. Fa davvero male.”
Il suo sguardo si incupisce e capisco subito che le sue parole non porteranno buone notizie. “Claudio, la situazione è complicata. Non ci sono molte soluzioni se non un intervento chirurgico.” Pronuncia quelle parole lentamente, come se volesse addolcire l’impatto di quella verità tagliente.
Eppure, la lama della paura mi trafigge comunque. Le mani… Le uniche cose che mi restano per muovermi nel mondo. Le mie gambe sono state sottratte dal destino, ma le mani no. Quelle mani con cui corro, con cui mi aggrappo alla vita. Con cui lotto, ogni giorno, per dimostrare a me stesso e agli altri che nulla è impossibile.
“Non c’è un’altra strada? Qualcosa che possiamo provare prima di arrivare all’intervento?” La mia voce è carica di disperazione.
Caterina scuote la testa con un’espressione rassegnata. “Possiamo provare qualche terapia, ma temo che sarà solo un palliativo temporaneo. Non voglio illuderti.”
Resto in silenzio. Le parole rimbalzano nella mia testa come palle impazzite. Intervento chirurgico. Dolore. Possibilità di non riuscire più a fare ciò che amo. So solo io cosa provo dentro. Nessuno può davvero capirlo. Perché l’unica cosa che mi permette di correre in mezzo al mondo, di superare i miei limiti, sono proprio le mani. E adesso, anche quelle rischiano di abbandonarmi.
Guardo fuori dalla finestra, la luce del sole che filtra attraverso il vetro sembra beffarda. Sento un nodo alla gola. Inizio a dubitare, a sentire il peso della realtà schiacciarmi.
“Nonna,” mormoro dentro di me, “dammi la forza… aiutami a riflettere al meglio.” Le sue parole sagge e il suo amore incondizionato sembrano risuonare nella mia mente, come un’eco gentile. Lei che mi ha sempre incoraggiato a non arrendermi, a credere in me stesso quando tutto sembrava impossibile.
Le mani… sono come le vostre gambe, penso. Perché per me, quelle mani rappresentano la mia libertà. La possibilità di spingermi oltre il traguardo, di correre quando tutti pensano che non sia possibile. Di continuare a credere nei miei sogni, anche quando la realtà cerca di portarmeli via.
Caterina mi guarda in silenzio, forse aspettando una mia reazione. Ma io ho bisogno di tempo per capire cosa fare. Perché la paura è lì, pronta a divorarmi. Ma anche la speranza è viva, seppur nascosta sotto strati di insicurezze e dolore.
“Ci penserò,” dico infine, con voce tremante ma decisa. “Intanto, mettimi in lista d’attesa. Quando arriverà la chiamata… deciderò cosa fare.”
Lei annuisce, rispettando il mio bisogno di riflettere. “Prenditi il tempo che ti serve, Claudio. E sappi che sarò qui per aiutarti, qualunque decisione tu prenda.”
Accendo la mia carrozzina e lascio l’ambulatorio, con il peso della scelta che non mi abbandona. So che dovrò affrontare un nuovo percorso, un altro ostacolo da superare. Ma non è forse quello che faccio ogni giorno della mia vita?
Mentre mi allontano, un pensiero mi accompagna come un sussurro gentile. Nonna, tu che mi hai insegnato a essere forte, dammi ancora la tua forza. Perché le mie mani, anche se ferite, continueranno a lottare. Perché arrendersi non è mai stata un’opzione.