Ci sono atlete come Jessica Long. E poi ci sono atlete che resistono. Che costruiscono il proprio successo con bracciate lente, giorno dopo giorno, controcorrente. Jessica Long è una di loro. Anzi, è molto di più. È una delle nuotatrici paralimpiche più forti di sempre, ma soprattutto una ragazza che ha trasformato un corpo imperfetto in un corpo invincibile.
Jessica Long nata senza ossa nella parte inferiore delle gambe, ha subito più di 25 operazioni e ha iniziato a camminare con le protesi prima ancora di imparare a parlare. Oggi ha decine di medaglie, ma ciò che colpisce davvero è lo sguardo: quello di chi non cerca scuse, ma solo spazio.
Una partenza lontana
Jessica nasce nel 1992 a Bratsk, in Siberia, con una rara malformazione congenita. Viene abbandonata in orfanotrofio poco dopo la nascita. Ha un nome russo, ma nessuna prospettiva. All’età di 13 mesi viene adottata da una famiglia americana del Maryland.
In America, inizia la sua vera storia. Fin da piccola mostra una determinazione fuori dal comune. Le vengono amputate entrambe le gambe sotto il ginocchio. Ma invece di piangersi addosso, impara a correre, a saltare, a nuotare. Le protesi non sono un limite. Sono strumenti.
Il nuoto come libertà
All’età di 10 anni Jessica Long partecipa alla sua prima gara di nuoto. In acqua, Jessica si sente libera. Il corpo non pesa, le protesi non servono. Solo lei, l’acqua, la corsia. Lì dentro non è diversa da nessuno. O meglio: inizia a capire che può essere più veloce di molti.
Nel 2004, a soli 12 anni, Jessica Long partecipa alle sue prime Paralimpiadi ad Atene. Torna a casa con 3 ori. Da lì in poi, la sua carriera è una scalata continua. Vince ovunque: Paralimpiadi, Mondiali, Giochi Panamericani. Diventa il volto dello sport paralimpico americano. Una vera macchina da medaglie.
Numeri da leggenda
Jessica Long ha vinto 29 medaglie paralimpiche (di cui 16 ori) in cinque edizioni dei Giochi. È la seconda atleta paralimpica più medagliata nella storia degli Stati Uniti. Gareggia in diverse discipline: stile libero, farfalla, dorso, misti. Non ha una “specialità”. È una nuotatrice completa, potente, elegante.
Ma i numeri non bastano a raccontare chi è. Perché ogni medaglia arriva dopo mesi di allenamenti massacranti, di fisioterapia, di adattamenti. E anche dopo momenti di crisi, di rabbia, di stanchezza.
La crisi dell’identità
Dietro la carriera da campionessa, Jessica ha dovuto affrontare battaglie interiori. Crescere con una disabilità, essere adottata, convivere con un corpo che richiede continue cure, non è mai stato semplice.
Ha raccontato in più occasioni il dolore legato alla scoperta delle sue origini, al bisogno di capire da dove viene, alla rabbia per l’abbandono. Nel 2013, è tornata in Russia per incontrare la madre biologica. Un viaggio emotivo fortissimo, che ha chiuso alcune ferite, ma ne ha aperte altre.
Jessica ha parlato pubblicamente anche dei suoi momenti di depressione, dei disturbi alimentari, dell’ansia da prestazione. E lo ha fatto senza vergogna, perché sa che il vero coraggio è mostrarsi anche nei momenti in cui ci si sente fragili.
Un esempio, non un’eccezione
Quello che rende Jessica Long così potente come figura pubblica è la sua coerenza. Non cerca di essere un’eroina. Non vuole sentirsi “speciale”. Vuole solo essere vista per ciò che è: una persona che si allena, che sbaglia, che ci riprova.
È diventata un simbolo per tante ragazze con disabilità, ma anche per chiunque si senta “fuori posto”. Perché lei non ha mai cercato di assomigliare a qualcun altro. Ha solo cercato di conoscere sé stessa. E ci è riuscita.
Lo spot che ha fatto il giro del mondo
Nel 2021, durante le Paralimpiadi di Tokyo, uno spot pubblicitario della Toyota dedicato a Jessica fa il giro del mondo. Racconta in pochi secondi la sua storia: l’adozione, le operazioni, il nuoto. Le ultime parole sono potenti: “We believe there is hope and strength in all of us”.
Quel video non parla solo di lei. Parla della possibilità di trasformare ogni difficoltà in qualcosa di prezioso. Non facile, ma vero.
Vita fuori dall’acqua
Jessica non si ferma mai. Oltre al nuoto, scrive libri, tiene incontri nelle scuole, lavora con organizzazioni per i diritti delle persone con disabilità. È attiva sui social, dove racconta anche la quotidianità: la fatica di indossare le protesi, il rapporto con il proprio corpo, la vita in coppia (è sposata dal 2019), i momenti di gioia e quelli di crisi.
Ha dichiarato più volte che il vero obiettivo della sua vita non è vincere, ma restare autentica. “Se devo ispirare qualcuno, voglio farlo dicendo la verità. Anche quando fa male.”
Perché parlarne qui?
Perché Jessica Long è l’esempio perfetto di come lo sport possa diventare linguaggio. Di come una corsia possa diventare uno spazio di libertà. Di come un corpo segnato possa comunque nuotare dritto verso ciò che conta.
È la stessa forza che ci metto io tu, quando devo affrontare le gare con le braccia che spingono, sotto il sole, la pioggia, il vento. La stessa volontà di stare nella propria storia, anche quando fa male. Anche quando costa.
Jessica non ha mai cercato un’altra versione di sé. Ha solo imparato a stare bene in quella che ha. E questo, in fondo, è il vero traguardo.