Esther Vergeer: La regina indiscussa del tennis in carrozzina

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Esther Vergeer
Esther Vergeer ha vinto 470 partite consecutive nel tennis in carrozzina, dominando lo sport per oltre un decennio. Non ha solo alzato trofei, ma anche il livello di visibilità e rispetto per tutto il movimento paralimpico.

Ci sono campioni. E poi ci sono leggende. Esther Vergeer non ha solo vinto: ha dominato. Per anni. Con numeri che sembrano inventati. Ma la sua storia è fatta anche di fragilità, scelte difficili e una forza silenziosa che l’ha portata a riscrivere le regole del tennis in carrozzina e dello sport paralimpico.

Oggi, chi pronuncia il suo nome, non pensa solo a una sportiva. Pensa a un punto di riferimento. A una donna che ha mostrato cosa significa davvero tenere la racchetta in mano, anche quando il corpo ti costringe a partire da un altro tipo di campo.

L’inizio: una bambina piena di energia

Esther Vergeer nasce nei Paesi Bassi nel 1981. Da piccola è vivace, sportiva, sempre in movimento. Ama il nuoto, il basket, la corsa. La sua infanzia è normale, felice, piena di sogni. Fino a quando, a otto anni, le viene diagnosticato un problema ai vasi sanguigni del midollo spinale. Subisce un’operazione rischiosa. Rimane paralizzata dalla vita in giù.

Per Esther Vergeer e  un momento devastante. Per lei, per la sua famiglia. Cambia tutto. Ma non cambia la sua energia. Dopo mesi di riabilitazione, torna a muoversi con una carrozzina. E presto capisce che, anche così, lo sport può ancora far parte della sua vita.

Il primo incontro con il tennis

Esther Vergeer scopre il tennis in carrozzina quasi per caso. All’inizio è solo un modo per rimanere attiva. Ma si accorge subito di avere talento. Coordinazione, intelligenza tattica, concentrazione. E soprattutto: fame. Quella fame che hanno solo gli atleti veri.

Inizia a competere. I risultati arrivano in fretta. A 16 anni è già una promessa. A 18 entra tra le prime dieci al mondo. Ma non si ferma lì.

L’inizio del dominio

Esther Vergeer dal  2000 in poi inizia qualcosa che ha dell’incredibile. Esther comincia a vincere. Sempre. Per anni. Ininterrottamente. Vince 7 titoli paralimpici (4 ori nel singolo, 3 ori nel doppio), 21 titoli del Grande Slam in singolare, 27 in doppio.

Ma c’è un numero che racconta meglio di tutti la sua storia: 470 vittorie consecutive. Sì, hai letto bene. Dal 2003 al 2013 non ha perso neanche una partita ufficiale in singolare. Un dominio assoluto. Nessuna avversaria riusciva nemmeno ad avvicinarsi. In campo, Esther era glaciale, precisa, perfetta. Ma mai arrogante.

Non solo numeri

Quello che colpisce, però, non è solo il palmarès. È il modo in cui ha portato il tennis in carrozzina sotto i riflettori. Ha giocato durante gli US Open, Wimbledon, il Roland Garros, davanti a migliaia di persone. Ha fatto capire che non si tratta di “sport per disabili”, ma di sport e basta.

Ha mostrato che l’intensità, la tecnica, la concentrazione sono le stesse, carrozzina o no. Ha lottato per la visibilità del suo sport, per l’inclusione nei grandi eventi, per i diritti degli atleti paralimpici.

Una scelta coraggiosa

Nel 2013, a soli 31 anni, decide di ritirarsi. È ancora al top, imbattuta, imbattibile. Ma sente che è il momento giusto. Ha sempre detto che non voleva restare “per inerzia”. Voleva lasciare da vincente, con rispetto per sé stessa e per lo sport.

Dopo il ritiro, non scompare. Anzi. Continua a lavorare per il movimento paralimpico, entra nello staff del comitato olimpico olandese, si occupa di giovani atleti, lancia progetti di inclusione. La sua voce conta. E viene ascoltata.

Un simbolo, con discrezione

Esther non ama le luci troppo forti. È riservata, concreta, lucida. Ma è diventata comunque un simbolo. Per le donne nello sport. Per le persone con disabilità. Per chi cerca un modo per rimanere attivo, competitivo, presente.

Ha dimostrato che si può essere duri e delicati. Che si può dominare senza schiacciare. Che si può essere modello senza diventare prodotto.

Cosa ha lasciato

Esther Vergeer ha cambiato la percezione del tennis in carrozzina. Ha alzato l’asticella tecnica e mentale. Ha ispirato nuove generazioni di atleti. E ha mostrato al grande pubblico che lo sport paralimpico non è “secondario”, ma pieno di talento, sfida, bellezza.

Il suo nome è oggi sinonimo di qualità, eleganza sportiva, determinazione. Anche chi non l’ha mai vista giocare, sente il suo peso nella storia dello sport. E chi l’ha vista, difficilmente la dimentica.

Perché parlarne qui?

Perché Esther non ha mai cercato di “superare” la sua disabilità. L’ha portata con sé. L’ha integrata. L’ha trasformata in parte del gioco, non in ostacolo. È un esempio chiaro e forte di ciò che significa praticare sport con il corpo che si ha, senza scuse, senza pietà.

Come il sottoscritto, ho scelto di non aspettare l’inclusione, ma di costruirla. ho gareggiato con dignità, senza chiedere sconti, spingendomi oltre i limiti senza mai rinnegare la mia condizione.

Esther non ha solo vinto partite. Ha vinto il rispetto. E l’ha fatto con una racchetta, una carrozzina e una testa che sapeva esattamente dove andare.


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