Trail-Orienteering, una delle 4 discipline previste dalla International Orienteering Federation.

Diversamente sportivi
Orienteering disabili

Orienteering: numeri ancora piccoli, ma con enormi potenzialità di attrarre i ragazzi nelle scuole, con qualsiasi disabilità, attraverso i Campionati Studenteschi e di coinvolgere il mondo della disabilità fisica.  Anche questa è una disciplina Associata al CONI e riconosciuta dal CIP, non presente ancora nel programma dei Giochi Paralimpici.

il Trail-Orienteering, una delle 4 discipline previste dalla International Orienteering Federation (IOF) e riconosciute dalla FISO. Le altre tre sono la Corsa orientamento (CO), lo Sci Orientamento (Ski O) e la Mountain Bike Orientamento (MTBO).

Si pratica a livello federale con 44 società sportive in 6 regioni (Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Toscana, Trentino Alto Adige e Veneto) e a sorpresa ha una larga maggioranza di tesserati sordi (38 sui 46 tesserati in tutta Italia, fonte FISO 2019), che gareggiano indifferentemente sia nella CO che nel Trail-O, nessuno con disabilità visiva, mentre tutti e 6 gli atleti in maglia azzurra hanno una para o tetraplegia.

“Non chiamatelo ‘caccia al tesoro’, è molto di più – racconta Fulvio Lenarduzzi, Responsabile di settore – E’ uno sport che richiede una spiccata capacità di lettura delle carte topografiche e d’interpretazione del territorio; non casualità o fortuna.

Orienteering: Quale consistenza ha il movimento in Italia e da dove provengono gli atleti con disabilità?

“A dispetto di quanto si pensa, è uno sport diffuso non solo al nord Italia, ma c’è una buona tradizione nel centro (Lazio) e  nel meridione si sta sviluppando (Puglia, Calabria , Campania, isole comprese). I tesserati Paralimpici provengono essenzialmente dall’universo INAIL, dalle Unità Spinali e Centri di riabilitazione e sono frutto della fortunata Convenzione CIP/INAIL con la FISO. Il movimento relativamente piccolo e recente, conta una decina di atleti con disabilità tesserati, cinque gli azzurri, tutti in carrozzina. Sono ancora pochi gli atleti strutturati all’interno della Federazione, ma la base potenziale è enorme, basti pensare all’inserimento del Trail-O paralimpico nel programma dei Campionati Studenteschi”.

 In cosa consiste la Disciplina del Trail-O rispetto alle altre FISO?

“Tutte le 4 discipline hanno in comune la pratica in ambiente naturale con l’utilizzo di una carta topografica  e di una bussola. Mentre CO, SkiO e MTBO si contraddistinguono per il diverso mezzo di locomozione utilizzato e per la componente fisico atletica (il più veloce vince), il Trail-O  si differenzia per aver tolto la componente fisico atletica, aver  mantenuto la capacità di lettura della mappa  e d’interpretazione dell’ambiente naturale,  senza trascurare l’aspetto d’integrazione con  atleti normodotati e disabili che gareggiano sullo stesso percorso di gara“.

Su che tipo di ambiente si svolgono le gare?

“Il terreno di gara utilizzato per elezione è il bosco, ma competizioni anche di alto livello, come i Campionati Mondiali od Europei, si sono organizzati in parchi pubblici, campi da golf, centri sportivi. Unica prescrizione la buona percorribilità delle stradine per le carrozzine”.

Come mai questa esplosione tra i ragazzi delle scuole?

“Dal 2001 è stato introdotto ai Campionati Studenteschi, a fianco della CO, disciplina già esistente a livello di pratica scolastica e da allora ha preso sempre più piede. Nella scuola ambedue le discipline sono adottate dagli insegnanti per le valenze educative, didattiche e d’integrazione fra normo dotati e disabili. Nella scuola inoltre il Trail-Orienteering è aperto anche ai ragazzi con disabilità sensoriale e intellettivo-relazionale di grado medio-lieve”.

Perché fare Trail-Orienteering?

“Perché aiuta a riabilitarsi in modo divertente. Anche chi è traumatizzato e vive il suo momento critico, a contatto con la natura e costretto a muoversi sullo sterrato nelle diverse condizioni dell’ambiente, ritrova presto la sua autonomia. Affrontando in carrozzina ostacoli come gradini, ciottoli, buche, si allena alla vita quotidiana, accelerando il reinserimento e l’adattamento alla nuova condizione. Poi si socializza, si sta insieme agli atleti normodotati. Ti senti uguale agli altri”.

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